Wildlife Photographer of The Year è la mostra delle 100 fotografie naturalistiche vincitrici del concorso fotografico più prestigioso al mondo. Un’occasione per ammirare la bellezza della natura e per riflettere sui nostri comportamenti.
Anche quest’anno la città di Milano ospita le 100 fotografie naturalistiche premiate nel più prestigioso concorso di fotografia naturalistica a livello mondiale: quello indetto ogni anno dal Natural History Museum di Londra. Al concorso internazionale hanno partecipato oltre 40.000 scatti da 93 Paesi del mondo.
Grazie all’Associazione culturale Radicediunopercento, presieduta da Roberto Di Leo, e con il patrocinio del Comune di Milano, quest’anno l’esposizione fotografica Wildlife Photographer of The Year è ospitata dal Superstudiopù di via Tortona. La nuova sede ha permesso di esporre le fotografie in un formato più grande, realizzate con carta fotografica Duratrans e illuminate a LED. La sala principale ospita anche uno schermo di quattro metri che mostra le 25 fotografie che sono state premiate dal pubblico. La mostra fotografica prosegue nelle sale più piccole attorno alla sala principale; qui sono ospitati filmati che raccontano i retroscena di alcune foto e di come l’attivazione da parte dell’opinione pubblica spesso è fondamentale per la salvaguardia di specie in pericolo.
Una mostra imperdibile, che porta nella città di Milano la natura e gli animali di ogni zona del mondo. Il percorso della mostra racconta il mondo animale e vegetale attraverso diverse sezioni: comportamento animale, piante e funghi, animali nel loro ambiente e fauna urbana, ritratti di animali e mondo subacqueo. Questa edizione ha riservato un ampio spazio alle zone umide, portando in evidenza il problema della siccità e delle alluvioni, due facce di una stessa medaglia, quella dei cambiamenti climatici.
Ho notato in particolare come la bellezza delle foto e della natura mi ha fatto pensare che spesso quello che si vede a prima vista non coincide con la realtà. Bellissime fotografie, quasi perfette, nascondono una triste verità che solo leggendo le didascalie e cercando informazioni possiamo cogliere. Queste sono solo alcune delle tante riflessioni che la visita alla mostra Wildlife Photographer of The Year ci mette sotto gli occhi.
Dopo otto anni dalla pubblicazione della Laudato Sì, la prima enciclica in assoluto a parlare di ecologia ed ambiente, esce la Laudate Deum. In questo secondo articolo ti parlo della debolezza della politica internazionale, delle conferenze sul clima e delle conclusioni finali.
Nel 2015 nel blog raccontavo un evento storico per il mondo, l’ecologia e l’ambiente: la Laudato Sì, la prima enciclica della storia a trattare i temi dell’ecologia. Dopo otto anni, Papa Francesco pubblica la Laudate Deum rivolta a tutte le persone di buona volontà, un’esortazione apostolica sulla crisi climatica.
Pubblicata nel giorno del Santo Patrono d’Italia e protettore degli animali, la Laudate Deum ci dice che non abbiamo fatto abbastanza per il nostro Pianeta.
Ogni generazione fa le proprie lotte per i diritti di tutti, compreso l’ambiente nel quale viviamo. Bene, amore, giustizia e solidarietà sono da conquistare giorno per giorno. La lotta alla fame, alla miseria e in favore dei diritti umani sono ancora punti da raggiungere in diverse aree del mondo.
Le crisi globali possono essere un’occasione per migliorare, ma non sono state utilizzate nel modo giusto. Pensiamo alla crisi economica del 2008 e alla recente pandemia che hanno portato a tanta solitudine, minore libertà e minore integrazione. Ci sono tante aggregazioni e organizzazioni della società civile che aiutano a compensare le debolezze della comunità internazionale, la mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la carenza di attenzioni rispetto ai diritti umani.
La globalizzazione e le nuove tecnologie, come l’uso di internet e dei social network, spesso hanno favorito scambi culturali spontanei, condivisione, azioni dal basso. C’è una maggiore sensibilità verso i più deboli e verso l’ambiente. Le risposte vengono dal basso, così come dai Paesi emergenti; non sono più solo le grandi potenze economiche a prevalere.
Il mondo è sempre più complesso e la cooperazione sempre più necessaria. Le nuove sfide globali riguardano tutti e tutti possiamo fornire soluzioni ai problemi ambientali, sociali, sanitari e culturali. Gli spazi di conversazione, incontro e condivisione sono da favorire.
Ogni conferenza sul clima è un’opportunità per incontrarsi e confrontarsi. Alcune COP, Conferenze delle Parti, hanno portato a maggiori risultati rispetto ad altre; per questo spesso si parla un po’ impropriamente di COP che sono state un successo e di altre che sono ricordate come fallimenti.
Ad esempio, la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 è ricordata per aver portato all’accordo UNFCC, Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, mentre la COP di Copenaghen del 2009 è spesso vista come un esempio di conferenza fallimentare.
L’accordo sulle Perdite e Danni è stato deciso durante l’ultima Conferenza delle Parti, ma non viene ancora applicato. I Paesi che inquinano di più dovrebbero pagare e compensare rispetto ai Paesi che inquinano di meno.
Durante la COP21 di Parigi del 2015 si è approvato il famoso Accordo di Parigi sul clima, anche se non sono previste sanzioni per chi non rispetta gli obblighi. Abbiamo però una carta che ci obbliga a non aumentare la temperatura globale oltre 1,5°C
L’ultima COP, COP 27 del 2022, si è svolta a Sharm el-Sheikh con l’inizio del conflitto in Ucraina, l’aumento dell’uso del carbone, la crisi economica ed energetica. A oggi, quindi, i combustibili fossili forniscono ancora l’80% dell’energia mondiale e le fonti rinnovabili e pulite non hanno raggiunto la diffusione che avrebbero dovuto avere, almeno non in tutte le zone del mondo. Ci sono difficoltà nei negoziati, l’accordo sulle Perdite e Danni non viene ancora applicato, non ci sono verifiche, controlli e sanzioni.
Il capitolo della Laudate Deum dedicato alle conferenze sul clima si conclude con la seguente frase e con una nota sulla mancanza di coscienza e responsabilità:
i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale
Il prossimo mese di novembre 2023 si aprirà la COP 28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Una Conferenza delle parti che parla di clima ed energia pulita si svolgerà in un Paese grande produttore ed esportatore di energie fossili: una vera contraddizione. Non ci si aspettano, quindi, grandi risultati.
Gli accordi sul clima non mancano, eppure le emissioni globali di gas serra continuano a crescere a livello globale. Sembra che il mondo sia entrato in uno stato nel quale siamo molto più sensibili ai problemi ambientali ma non abbastanza coraggiosi da prendere le necessarie decisioni. Ci avviciniamo sempre più al superamento della soglia di 1,5°C e ad un punto di non ritorno.
cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse
Non basta più rattoppare e mettere una pezza, occorre cambiare direzione al più presto con nuovi stili di vita davvero sostenibili. La crisi climatica è un problema umano e sociale. Occorre una transizione energetica che sia efficiente, vincolante e monitorabile, oltre ad “avviare un nuovo processo che sia drastico, intenso e possa contare sull’impegno di tutti”. Solo così la credibilità della politica internazionale sarà rivalutata.
Il capitolo sulle Conferenze delle Parti si conclude con una frase che è lo slogan principale degli attivisti ambientali che manifestano oggi nelle piazze:
Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?
In questo breve capitolo conclusivo, Papa Francesco fa un appello ai fedeli cattolici e di altre religioni, citando alcune frasi della Bibbia. Seguono poi delle considerazioni finali per camminare in comunione e responsabilità.
l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo
L’uomo ha bisogno di cogliere la varietà delle cose ed essere attento alla bellezza che c’è nel mondo, contemplare la bellezza.
Occorre uscire dalla visione antropocentrica dell’uomo e del mondo che porta ai danni ambientali e alle estinzioni delle specie vegetali ed animali per riconciliarci col mondo e con tutte le creature viventi: servono grande dignità personale e grandi valori.
I cambiamenti che durano nel tempo sono quelli culturali; ma per avere un cambiamento culturale, occorre un cambiamento personale. Molte persone, molte famiglie si stanno già impegnando in stili di vita sostenibili, rispettando il prossimo e l’ambiente. La cultura e la società stanno già cambiando: ora occorre un cambiamento da parte delle istituzioni e della politica, di chi prende le decisioni.
In conclusione, in questi otto anni tra le due encicliche non abbiamo fatto abbastanza. Ora tocca correre, accelerare, soprattutto da parte dei governi e delle istituzioni.
il mondo canta un amore infinito, come non averne cura?
A otto anni dalla Laudato Sì, la prima enciclica in assoluto a parlare di ecologia ed ambiente, Papa Francesco pubblica la Laudate Deum per tirare le somme sulla situazione attuale. Ho riassunto i punti principali in due articoli: in questo primo post ti parlo della crisi globale e del paradigma tecnocratico.
Era il 2015 quando nel blog raccontavo un evento storico per il mondo, l’ecologia e l’ambiente: la Laudato Sì, la prima enciclica della storia a trattare i temi dell’ecologia. Dopo otto anni, Papa Francesco pubblica la Laudate Deum rivolta a tutte le persone di buona volontà, un’esortazione apostolica sulla crisi climatica.
Pubblicata nel giorno del Santo Patrono d’Italia e protettore degli animali, la Laudate Deum ci dice che non abbiamo fatto abbastanza per il nostro Pianeta.
Si tratta di un piccolo libretto di circa sessanta pagine, ma la trovi anche online. In questo post, ti riassumo i punti principali e le frasi che mi hanno più colpito. Nella Laudate Deum, ad una breve introduzione, seguono sei brevi paragrafi:
Il nostro Pianeta è sofferente. Non abbiamo fatto abbastanza. Il mondo si sta sgretolando e ci avviciniamo ad un punto di rottura. L’impatto del cambiamento climatico sarà devastante.
Il cambiamento climatico è un problema sociale globale intimamente legato alla dignità della vita umana.
ed è una delle principali sfide che la società e le comunità globali devono affrontare. È un dramma che danneggia tutti, ma che colpisce in particolare i più deboli e vulnerabili. Dato che la situazione è sempre più urgente, Francesco ha voluto condividere questa esortazione rivolta a tutte le persone di buona volontà, indipendentemente dalla loro fede religiosa, anche ai non credenti. A ogni individuo è richiesto un impegno per contrastare il cambiamento climatico.
Molte persone negano o sminuiscono il cambiamento climatico: queste posizioni sono inaccettabili dal punto di vista della scienza. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi ogni giorno: dal caldo anomalo alla siccità, dalle alluvioni allo scioglimento dei ghiacciai. Sono tutti “lamenti della Terra” per una “malattia silenziosa che colpisce tutti noi”. Francesco cita i recenti dati scientifici dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che esortano a non oltrepassare un aumento della temperatura globale di 1,5°C.
Nel mondo c’è resistenza e confusione: tante persone minimizzano i dati scientifici e negano il cambiamento climatico, anche se oggi è sufficiente una sola generazione per accorgersi della velocità e dell’accelerazione con la quale il clima cambia. Caldo estremo e freddo estremo sono due facce della stessa medaglia. Persone poco informate, inoltre, confondono le proiezioni climatiche che studiano lunghi periodi di tempo, con le previsioni meteorologiche, che riguardano solo alcune settimane.
Non sono le persone più povere, i Paesi poveri, ad inquinare di più, ma esattamente il contrario. Una piccola percentuale della parte più ricca della popolazione mondiale inquina più del 50% rispetto a quella più povera e allo stesso modo le emissioni di gas serra dei Paesi più ricchi superano di molto quelle delle aree più povere del mondo. Un’altra fake news da contrastare riguarda la perdita di lavoro in seguito all’abbandono dei combustibili fossili. Al contrario, la transizione ecologica genera nuovi posti di lavoro.
Le cause umane del cambiamento climatico non si possono più mettere in dubbio. La concentrazione dei gas serra in atmosfera è rimasta stabile fino al periodo della Rivoluzione Industriale e al di sotto dei 300 ppm, parti per milione. Una nota interessante che ci fa capire la gravità della situazione:
Nel 2015, quando è stata scritta e pubblicata la Laudato Sì, la concentrazione di gas serra in atmosfera raggiungeva un valore elevato, pari a 400 ppm.
Nel 2023 siamo arrivati a 423 ppm
I dati dell’IPCC ci dicono che “oltre il 42% delle emissioni nette totali dal 1850 è avvenuto dopo il 1990“. Negli ultimi 50 anni la temperatura globale è aumentata ad una velocità mai vista prima e, dal 1850 ad oggi, l’aumento complessivo è stato di 1,1°C. Ad aumentare è la temperatura del suolo, dell’aria e dell’acqua di mari ed oceani. I mari si acidificano e perdono ossigeno, mentre i ghiacciai si sciolgono e fanno aumentare il livello dei mari. Ormai è innegabile che i fenomeni climatici estremi a livello globale sono collegati all’aumento dei gas serra in atmosfera, aumento avvenuto dal XX secolo in poi.
Purtroppo la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili
L’uomo ha sfruttato la natura in modo eccessivo negli ultimi due secoli. Quali sono i danni e i rischi? Molti danni li vediamo già e sono irreversibili: la temperatura delle acque che aumenta così come l’acidificazione e la perdita di ossigeno, da un lato, e lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, dall’altro.
Molte specie vegetali e animali si sono già estinte:
le altre creature di questo mondo hanno smesso di esserci compagne di viaggio e sono diventate nostre vittime
Piccoli cambiamenti possono provocare una cascata di eventi a valanga e questo processo, una volta iniziato, non si può fermare. La pandemia ha confermato che la vita degli esseri umani è collegata a quella degli altri esseri viventi e all’ambiente:
Non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato. Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici
Il paragrafo dedicato al cambiamento climatico si conclude con tre frasi chiave:
Di questo paradigma si parlava già nella Laudato Sì. Con il termine paradigma tecnocratico si intende il fatto che tecnologia ed economia ci danno l’idea di una crescita infinita e illimitata, ma questo non è possibile. La stessa intelligenza artificiale e la tecnologia avanzata ci fanno pensare che l’uomo possa avere poteri illimitati. Le risorse naturali hanno limiti, non sono illimitate.
Questo paradigma sottende un’ossessione: accrescere così tanto il potere dell’uomo da rendere il resto del mondo al suo servizio. Ecco che gli altri esseri viventi e la natura potrebbero essere sfruttate a piacimento dell’uomo. Occorre ripensare al potere dell’essere umano. Oltre al potere, occorrono i giusti strumenti per controllarlo: etica, cultura e spiritualità
l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza
Le poche persone che detengono conoscenza e potere economico possono avere il controllo sull’intera popolazione mondiale.
Seguendo questa logica, la natura diventa una cornice e a noi sembra di essere all’esterno di essa; invece noi siamo nella natura e il mondo non lo contempliamo dal di fuori, ma dal di dentro. Se gli esseri umani si vedono come qualcosa di esterno alla natura, ecco che la deteriorano, la danneggiano, la uccidono.
Al contrario, un ambiente sano deriva da un sano rapporto dell’uomo con la natura e l’ambiente, come accadeva molti anni fa e accade tuttora nei popoli indigeni. Occorre essere lucidi per capire che il potere e il progresso possono ritorcersi contro gli esseri umani, contro noi stessi.
Parte del mondo dell’informazione e del marketing possono essere falsi e fuorvianti e influenzare in modo negativo l’opinione pubblica. Ad esempio, molti progetti non sono così green come si fa credere. Alla fine dei lavori, ci si ritrova con la terra e i corsi d’acqua devastati, un notevole danno ambientale ed economico e condizioni di vita peggiori di quelle precedenti.
… è proprio la somma di molti danni considerati tollerabili che finisce per portarci alla situazione in cui ci troviamo ora
La logica del massimo profitto al minimo costo non va d’accordo con le condizioni di vita sostenibili, sia per il presente, che per il futuro. La stessa meritocrazia spesso non riguarda tutti, ma solo un certo numero di persone che sono nate nella parte del mondo che vive in condizioni migliori di sviluppo.
La domanda che dobbiamo farci riguarda il senso: “qual è il senso della mia vita, qual è il senso del mio passaggio su questa terra, qual è in definitiva il senso del mio lavoro e del mio impegno?”
Questo è ciò che Papa Francesco ha racchiuso nella prima parte della Laudate Deum. La lettura continua nel prossimo post: parleremo della debolezza della politica internazionale, delle conferenze sul clima e le conclusioni spirituali.
Tra le numerose mostre fotografiche del Milano Photofestival 18TH, tre in particolare parlano di natura, botanica e femminile. Le ho visitate e te le racconto per aprirsi al mondo con un nuovo sguardo sulla natura.
Questa edizione del Milano Photofestival è la diciottesima e ha come tema “Aprirsi al mondo“. La fotografia è un’esperienza che ci permette di aprirci all’esterno e guardare il mondo che ci circonda. Durante gli anni, questa manifestazione è diventata una tra le più importanti per la fotografia d’autore milanese e punto di riferimento a livello nazionale. Dal 15 settembre al 31 ottobre 2023 sono previste 142 mostre in oltre 100 sedi espositive tra la città di Milano, l’area metropolitana e le Province di Monza e Brianza, Lecco e Bergamo.
Una manifestazione inclusiva, con generi e stili diversi, che ospita fotografi noti ed emergenti. L’apertura al nuovo si manifesta con la piattaforma delle mostre virtuali e l’attenzione verso un nuovo tipo di immagini create dall’Intelligenza Artificiale. Sfogliando il catalogo, mi sono soffermata su tre mostre che raccontano la natura e il femminile, due mondi in stretta relazione: la nostra Madre Terra rappresenta il femminile per numerose popolazioni nel mondo.
Tell me the truth about Nature è la prima personale milanese della fotografa Barbara Dall’Angelo in mostra presso la Gilda Contemporary Art di Milano. Sono esposti due gruppi di opere, scattate in due zone completamente diverse del mondo, ma che ritraggono lo stesso soggetto: gli alberi.
La Natura mostra la sua resilienza e la sua bellezza attraverso gli alberi, creature capaci di adattarsi alle diverse condizioni ambientali ed atmosferiche, anche estreme. Un primo gruppo di fotografie riguarda la Lapponia, a poca distanza dal Circolo Polare Artico, dove le temperature raggiungono anche i -30°C. Il secondo gruppo di fotografie ritrae la zona di Sumba, in Indonesia, tra l’Equatroe e il Tropico del Capricorno, con temperature oltre i 30°C. Due situazioni estreme, molto diverse, che ci raccontano l’incredibile forza degli alberi che resistono al freddo e al caldo estremo, al vento e al sole con grande adattamento e allo stesso tempo con flessibilità.
Sono fotografie del paesaggio che esprimono grande sensibilità per la natura, che ci permettono di vedere luoghi estremi ed incontaminati, la vera wilderness. Opere che ci fanno pensare al senso dell’esistenza e della sopravvivenza. Immagini stupende che raccontano la mutevolezza e la perenne continuità della bellezza della Natura, l’armonia come un equilibrio tra fragilità e forza, tra immutabilità e cambiamento, e l’Amore come motore dell’Universo.
Per realizzare i due progetti fotografici è stata misurata la carbon footprint ed è stata compensta con crediti di carbonio generati da Phoresta ETS.
FCF Gallery ospita la mostra fotografica Spiriti della Foresta. Quest’anno lo spazio espositivo ha dedicato le rassegne al tema Le forme della bellezza, ospitando fotografi italiani ed internazionali.
Juan Borja, fotografo e biologo peruviano, specializzato in ecologia, realizza scatti in bianco e nero di fotografia botanica. Le foglie, i fiori, i frutti sono opere d’arte ma servono giorni e mesi perché raggiungano un punto preciso per essere ritratte. Borja attende il momento giusto perché ogni elemento naturale assuma la forma più armonica per diventare un’immagine da fermare nel tempo.
La forma della bellezza è quella degli elementi naturali, dei fiori e dei frutti che assumono forme diverse, a volte assomigliando anche ad animali. Questi elementi naturali arrivano dalle zone di foresta del Perù e dell’Amazzonia, aree nelle quali vivono numerose popolazioni indigene. Ecco che si forma un punto di contatto tra natura ed esseri umani: accanto alle fotografie botaniche, troviamo i ritratti delle popolazioni che vivono questi luoghi. Il passato incontra il presente ed il futuro.
La bellezza è nelle immagini botaniche ma anche nei volti delle persone che vivono a contatto con la foresta. Molti di questi sono volti femminili che ricordano il femminile della Pachamama, la Madre Terra, creatrice della natura e degli esseri umani.
La natura è strettamente legata al femminile e questa mostra collega il presente della natura al presente degli esseri umani. Connessioni naturali è una mostra fotografica che raccoglie gli scatti di tre diversi fotografi: Dario Mainetti, Melissa Marcello e Ingrid Strain presso Lattuada Gallery Il Diaframma a Milano.
La natura è spesso vista come qualcosa da salvaguardare e di cui prendersi cura: un punto di vista che è molto collegato al femminile. Negli scatti di questi tre autori il femminile e il mondo naturale sono strettamente collegati; sono un inno alla libertà, alla purezza, alla complessità da rispettare. Sono un esempio di bellezza ed armonia da osservare e preservare.
Un unione di forme e di colori che testimonia come natura ed esseri umani sono strettamente collegati, ancora di più al femminile. La natura ci racconta la sua bellezza ed armonia mentre siamo in essa, la osserviamo, la viviamo. La fotografia naturalistica ci riporta a questa bellezza e all’armonia del femminile. La natura è uno sguardo sul mondo, è aprirsi al mondo ma occorre avere nuovi sguardi ed occhi curiosi.
Facce da Blogger è il progetto della fotografa Elena Datrino che ha realizzato un libro e una mostra fotografica con i 100 volti dei creativi digitali italiani nell’era web 2.0. Sono felice e orgogliosa di essere parte di questo grande progetto di condivisione e di raccontarlo.
I blog sono nati negli Stati Uniti verso il 1997 ma in Italia sono arrivati più tardi. Il fenomeno dei blog e dei blogger è esploso nel nostro Paese attorno al 2010. Il nome blog nasce da web-log, cioè registro o diario su internet e i primi blog erano un vero e proprio diario online con una serie di link che portavano ad altri siti consigliati. Nel 2015 in Italia i blog erano già numerosi e la figura del blogger cominciava a farsi conoscere e notare. In quell’anno ho avuto il mio primo pass da blogger per Expo Milano 2015 e l’opportunità di raccontare un evento dal mio punto di vista, quello della natura e dell’ambiente.
Il progetto Facce da Blogger di Elena Datrino nasce nel 2013 proprio come curiosità verso questo nuovo mondo online e offline. Elena è stata incuriosita dal fatto che la scrittura, un mezzo così privato, poteva entrare in contatto col mondo di internet, un mondo pubblico, aperto a tutti. I blog, infatti, cominciano a trasformarsi da semplici diari di vita quotidiana ad un mezzo per raccontare una passione o il dietro le quinte di un lavoro.
I blog narrano tante storie diverse, tutte accomunate dalla necessità di raccontare una forte passione. Navigando online, Elena si era accorta che molti blogger usavano un nome d’arte e spesso non pubblicavano nessuna loro foto per restare nell’anonimato. Da qui nasce l’idea di svelare il segreto della persona che spesso si nascondeva dietro al blog, rivelando la sua faccia, attraverso un ritratto fotografico. Il ritratto è una forma di narrazione che intreccia volti e storie e cattura lo sguardo unico ed espressivo di ogni persona.
Il blog e il blogger che lo scrive rivelano una doppia identità: la persona e il personaggio che “si diventa” scrivendo. Ed è proprio questa dualità che Elena ha voluto raccontare attraverso il progetto Facce da Blogger. Il blog e il suo blogger creatore che desidera sempre trasmettere curiosità verso i contenuti del proprio blog, per catturare nuovi lettori. Il lato affascinante di questa dualità, secondo Elena Datrino, è come ogni blogger affronta il suo argomento, la sua passione: chi con leggerezza, chi con ironia, chi con rigore. Insomma, come dicamo oggi, ognuno col suo unico e inconfondibile tone of voice.
L’idea iniziale era quella di fare un articolo in occasione dell’evento AltaModa Roma del 2015. Dopo la partecipazione ad altri eventi e mostre fotografiche in Piemonte e ad Orvieto, è nata l’idea del progetto finale, più ambizioso: fotografare i 100 volti dei creativi digitali italiani nell’era web 2.0.
Dal 2014 al 2020, Elena è andata alla ricerca del lato più creativo degli autori e dell’originalità dei contenuti, evidenziando l’importanza della personalità dietro agli articoli, dell’informazione consapevole, dell’individualità e unicità.
Il progetto Facce da Blogger è andato avanti dal 2014 al 2020 con la partecipazione a numerosi eventi, mostre e concorsi fotografici grazie ad una prima serie di foto. Poi l’arrivo della pandemia ha bloccato tutto fino a questo mese di ottobre 2023 che ha visto la sua piena realizzazione con la stampa del libro e la mostra fotografica.
Oggi molti dei 100 blog sono ancora attivi, altri sono stati chiusi perché il blogger si è spostato verso nuove piattaforme o su altri social network. Il blog è sempre e comunque un mezzo di apertura, dalla scrittura verso nuovi mondi.
Mi interessa testimoniare le personalità dietro agli articoli, fare emergere il loro desiderio di restituirci, con i nuovi media, un’informazione consapevole, arricchita da quel tocco di individualità. Raccontare con uno scatto la bellezza del loro impulso creativo e la loro unicità.
Elena Datrino
Il progetto di Elena Datrino, Facce da Blogger, è diventato realtà nel mese di ottobre 2023 attraverso la pubblicazione del libro e la mostra fotografica che è entrata a far parte del circuito del Milano Photofestival.
Tra le fotografie dei blogger in mostra e nel libro si trovano alcuni dei volti più noti tra cui Salvatore Aranzulla, Annamaria Testa, Massimo Temporelli, Stephanie Glitter, Spinoza (Stefano Andreoli), Dio (Alessandro Paolucci), La McMusa (Marta Ciccolari Micaldi), che si intrecciano con tanti altri volti rappresentandone le mille sfaccettature: le 100 opere hanno creato narrazioni diverse, che uniscono gli sguardi e le testimonianze di personaggi unici, in grado di dare voce a milioni di persone.
Il libro Facce da Blogger è edito da Gangemi Editore. Si tratta di un libro interattivo così come la dualità dei blogger, protagonisti del mondo online e offline. Per ogni blogger, Elena ha scelto un ritratto principale da stampare nel libro. A fianco è presente un QRcode che porta al ritratto secondario e alla descrizione del blog e del suo blogger. Il libro è stato curato dalla grafica designer Antonella Provasi.
Lo scorso 28 settembre 2023 è stato presentato a Milano presso lo Studio Fotografico di Elena Datrino. Una bella serata, un’occasione per rivedere blogger conosciuti e per incontrarne di nuovi.
Per chi è a Roma e dintorni, l’appuntamento con la presentazione del libro Facce da Blogger è per giovedì 12 ottobre 2023 presso la prestigiosa Galleria Nazionale di Roma. Sarà presente uno tra i blogger più interessanti e originali, il mitico Alessandro Paolucci, aka @Iddioonnipotent.
La mostra fotografica Facce da Blogger sarà inaugurata il prossimo 16 ottobre 2023 presso la Biblioteca Accursio a Milano. La mostra rientra nel prestigioso appuntamento fotografico milanese del Milano Photofestival. Anche la mostra ripropone l’idea dell’incontro tra due mondi diversi: quello analogico e quello digitale. Saranno esposte le 100 stampe fotografiche del ritratto principale di ogni blogger. Le stampe sono davvero uniche e particolari, realizzate su Lumaframe, materiale Fine Art a cura del Laboratorio e sponsor tecnico Unimaginable di Milano, un materiale antiriflesso che rende la fotografia simile ad un ritratto. Anche nella mostra fotografica, a fianco di ogni stampa, sarà presente un QRcode che porta al ritratto secondario e alla descrizione del blog e del blogger che lo cura.
Un progetto unico, bello, interessante che mi ha fatto conoscere nuovi volti, nuovi blog e nuove possibilità che lo strumento del blog è sempre in grado di offrire. Grazie Elena per avermi coinvolto in questo meraviglioso progetto che mi ha fatto capire quanto il blog sia sempre attuale. Il blog è come una strada, un percorso che si trasforma, che si apre verso nuove prospettive, ma che ti permette di avere il tuo posto unico online e un atteggiamento sempre positivo e propositivo verso il mondo.
Se stai leggendo questo post, spero di vederti alla mostra fotografica e di averti incuriosito nell’acquisto del libro. Ti ricordo che fino alla fine del mese di ottobre 2023 è in corso una raccolta fondi con tanti benefit interessanti e ti invito a curiosare 😉
[nota: questo post è frutto della mia voglia di condividere e raccontare un progetto del quale faccio parte, non ricevo nessun compenso per la sua scrittura e pubblicazione]
Dall’1 all’8 ottobre 2023 appuntamento con la Settimana del Pianeta Terra, il Festival nazionale delle Geoscienze, un festival ricco di eventi ed escursioni per comunicare l’importanza delle geoscienze. In questo post ti racconto di cosa si tratta.
Dal 1 all’8 ottobre 2023 torna la Settimana del Pianeta Terra, il Festival nazionale delle Geoscienze, un festival diffuso che è diventato il principale appuntamento per comunicare pubblicamente le geoscienze. Durante la settimana del festival si contano oltre cento appuntamenti in tutta Italia per parlare di geoscienze da diversi punti di vista: il linguaggio, il sapere, la partecipazione e l’aggregazione.
Oltre ai dibattiti, la settimana del Pianeta Terra prevede eventi come trekking sotterranei, tour di astronomia, escursioni archeologiche e numerosi eventi nella natura, sulle sponde di fiumi e torrenti, all’interno di aree naturalistiche. Spesso si tratta di luoghi normalmente chiusi al pubblico che vengono aperti solo in questa settimana dedicata al festival e alle scienze della terra, le geoscienze. Questa manifestazione è arrivata alla sua undicesima edizione. Nasce nel 2012 grazie all’Associazione Settimana del Pianeta Terra APS. Fondatori sono i professori e paleontologi Rodolfo Coccioni e Silvio Seno.
Ho letto di recente l’interessante libro di Piero Angela, Dieci cose che ho imparato. Angela afferma che in Italia la cultura scientifica non ha da anni lo spazio che si merita in televisione e sui giornali. Gli scienziati non hanno inventato niente di nuovo: portano alla luce, alla conoscenza, al pubblico ciò che esiste già in natura, nello spazio e sulla Terra: la natura e le sue leggi, cosa c’è al centro del nostro Pianeta o negli abissi marini, le stelle e gli spazi inesplorati dell’Universo.
Come mai non vengono ascoltati o creduti? Spesso perché il loro linguaggio viene definito difficile e complicato e sembra si possano inventare cose che non esistono. Ma non è così: nessuna invenzione, nessun complotto; solo scienza che si basa sui dati, sulle ricerche, sugli esperimenti che devono essere ripetibili. Semplicemente la scienza è portare alla conoscenza, è spiegare natura e tecnologia. Per questo, come affermano i fondatori della Settimana del Pianeta Terra, eventi come questi sono importanti perché:
“La comunicazione pubblica della scienza è diventata un bisogno sociale diffuso e una doppia necessità: professionale per gli scienziati e democratica per la società. Ma la comunicazione pubblica della scienza non può avvenire solo nei circoli accademici. Noi cittadini, tutti, abbiamo bisogno di informazione e conoscenza, per poter sviluppare compiutamente inostri diritti di quella che possiamo definire «cittadinanza scientifica», intesa come condivisione del patrimonio scientifico messo al servizio della comunità.”
Il termine geoscienze si riferisce allo studio della geologia e delle materie scientifiche collegate allo studio della terra. Secondo l’Enciclopedia Treccani, la geologia è la scienza che studia il Pianeta Terra con riferimento alla sua composizione, alla sua struttura e configurazione, alla sua superficie e ai processi che vi operano, per giungere alla conoscenza dell’evoluzione che esso ha avuto dalla sua formazione (circa 4,7 miliardi di anni fa). Alla geologia si collegano numerose discipline (le scienze della Terra) che hanno come scopo lo studio della Terra nei suoi molteplici aspetti; ha forti legami con la fisica (geofisica), la chimica (geochimica), la planetologia, e con tutte le discipline che afferiscono alle scienze naturali, come la geografia fisica e la biologia.
Le geoscienze sono le scienze della terra e della vita. Sono importanti per uno stile di vita e uno sviluppo sostenibile. Quando parliamo di geoscienze ci riferiamo anche all’energia, alle infrastrutture, all’edilizia, non solo alla salvaguardia dei fiumi e delle coste, alla protezione dai rischi geologici ed idrogeologici. Le geoscienze sono strettamente collegate alla crisi climatica, alla sicurezza ambientale, alla salute umana.
Il clima e l’ambiente sono temi comuni a tutti, ogni giorno. Non sono più solo questioni che riguardano gli scienziati e chi si occupa di clima. La natura e l’ambiente siamo tutti noi e sono di tutti noi. Le sfide dell’aumento della temperatura globale, del clima che cambia, dell’uso dei combustibili fossili da evitare sono argomenti della comunità, della collettività.
Essere informati significa essere consapevoli e agire per il bene delle persone e della comunità, che comprende gli altri esseri viventi e il paesaggio. Il professor Silvio Seno ricorda che in Italia e nel mondo c’è bisogno di esperti e scienziati, di tecnici preparati, di ricerca e innovazione. Ma anche comunicare, raccontare la scienza, in modo che ognuno di noi possa trovare le fonti, approfondire, e formarsi una propria opinione è più che mai essenziale.
Un tema interessante ed attuale di questa la Settimana del Pianeta Terra sono le catene di approvvigionamento dei metalli e dei minerali. Come si legge sul sito dell’evento, dopo il 2020 l’Unione Europea ha indicato 34 materie prime critiche che si dovranno estrarre da siti minerari situati in Europa per arrivare ad una indipendenza per quanto riguarda l’approvvigionamento di queste terre e metalli. In Italia ne sono presenti 16, tra i quali il cobalto, il nichel, il rame e l‘argento. Alcune miniere italiane, ferme da decenni, potrebbero essere riaperte per nuove estrazioni.
Secondo il professor Seno, “sono minerali indispensabili alla decarbonizzazione e alla svolta verde, alla costruzione di pannelli solari, batterie delle auto elettriche, cellulari e ridurre la dipendenza da pochi fornitori esteri è necessario, ma bisogna evitare altri danni al territorio, mantenendole in esercizio nel rispetto di elevati standard di sostenibilità ambientale e sociale”.
Il dibattito è interessante perché queste miniere spesso si trovano in aree naturali protette e perché occorre fare molta attenzione al già elevato consumo di suolo nel nostro Paese. Per questo numerosi eventi della Settimana del Pianeta Terra avranno luogo proprio nei territori che ospitano queste miniere ricche di metalli e minerali rari.
Dalla prima edizione della Settimana del Pianeta Terra ad oggi si sono svolti più di duemila geoeventi che hanno coinvolto migliaia di persone, dai cittadini, alle scuole, dalle aziende alle università. Per i promotori del festival, “la condivisione del sapere deve essere l’obiettivo principale della comunicazione scientifica poiché una società più informata è una società più coinvolta”.
Il nostro patrimonio naturale è immenso è merita di essere conosciuto. Vulcani, ghiacciai, geyser, grotte, rocce, asteroidi minerali, ammoniti sono solo pochi esempi del mondo naturale che ci circonda e del passato che si racconta a noi attraverso le testimonianze delle rocce, delle tracce, dei resti animali e vegetali. In un mondo complicato, dove tecnologia e innovazione viaggiano ad alta velocità, spesso è importante fermarsi e prendersi del tempo per noi stessi, per immergerci nella natura e ritrovare la sua bellezza, la meraviglia e l’entusiasmo della vita attorno a noi: la Settimana del Pianeta Terra ci offre numerose occasioni per farlo.
Per conoscere tutti gli eventi del festival delle geoscienze puoi visitare il sito della Settimana del Pianeta Terra
La mostra Siamo Foresta è aperta presso La Triennale di Milano fino al 29 ottobre 2023. Realizzata grazie alla Fondazione Cartier per l’arte contemporanea, racconta la foresta come un insieme di popoli viventi, umani e non umani, un mondo possibile se mettiamo un po’ da parte il nostro antropocentrismo.
Quando sono entrata alla mostra mi ha colpito la grande scritta all’ingresso. Per la sua verità, forse scomoda, per una parte della popolazione mondiale che sta compromettendo la vita e gli habitat di persone, animali, piante e paesaggi dall’altra parte del mondo. Per il fatto che ricorda il titolo del libro di Rachel Carson, Primavera silenziosa e preannuncia un mondo vuoto e silenzioso:
La foresta è viva. Può morire solo se i Bianchi si ostinano a distruggerla. Se ci riescono, i fiumi scompariranno sotto la terra, il suolo diventerà friabile, gli alberi rinsecchiranno e le pietre si spaccheranno per il calore. La terra inaridita diventerà vuota e silenziosa
Davi Kopenava, La caduta del cielo, 2010
La mostra Siamo Foresta racconta una foresta dal punto di vista di pensatori ed artisti che la vivono. È una foresta animata e colorata, piena di luci e di suoni. Artisti indigeni del Nuovo Messico, del Paraguay e artisti non indigeni di Brasile, Cina, Colombia e Francia, dialogano insieme, raccontano un mondo di bellezza, vita e colore. Nasce dall’incontro di due artisti, uno francese, l’altro Yanomami, originario dell’Amazzonia, che decidono di creare un insieme di opere che danno il via alla mostra. Il francese Fabrice Hyber da oltre vent’anni pianta una foresta temperata nella sua Francia occidentale per rigenerare terre sterili. Nella Vandea francese, Fabrice Hyber ha piantato una foresta a partire dagli Anni Novanta. Circa 300.000 semi di alberi, di oltre cento specie diverse, nel tempo hanno creato un’intera foresta.
Artisti indigeni e non indigeni hanno fornito opere per questa mostra. La loro passione comune è quella per tutti i viventi e per la difesa dei territori nei quali vivono. Sono proprio i popoli autoctoni dell’Amazzonia ad inviarci il loro messaggio urgente: ripensare in modo più umile al ruolo che ogni essere umano ha nel mondo. Occorre essere più consapevoli dell’uguaglianza tra esseri viventi, riconoscere che il mondo, la natura, sono uniti e senza confini. Seminare alberi, come seminare idee, pensieri e sogni: questo è il messaggio di tutti coloro che amano la foresta.
La foresta è un insieme di popoli viventi, umani e non umani. Se andiamo oltre il nostro antropocentrismo, ci accorgiamo che la foresta è un mondo colorato, vivo e ricco ed esiste sotto i nostri occhi. I portavoce dei popoli indigeni brasiliani ci ricordano che:
Dobbiamo riforestare le menti per curare la Terra
portavoce dei popoli indigeni brasiliani
Ecco che numerosi artisti europei, della foresta amazzonica e sciamani mettono insieme le loro opere per descrivere come dovrebbe essere la foresta: un mondo colorato, fatto di esseri viventi di tutte le specie.
Questa mostra, Siamo foresta, mi ha colpito per la sua bellezza e varietà e per i colori. Si trovano dipinti in bianco e nero, altri con sfondo scuro, e tra questi tutte le altre variazioni di milioni di colori che caratterizzano la foresta.
Tra gli artisti che danno vita alla mostra c’è Virgil Ortiz, nativo americano di Pueblo Cochiti, comunità indigena dove vive tuttora. Rappresenta personaggi strani e fantastici legati alla cultura Cochiti. Mescola insieme caratteri degli indigeni con quelli delle persone e degli animali dei circhi che hanno attraversato l’area nella quale vive. C’è poi Bruno Novelli, artista brasiliano di San Paolo, che dipinge quadri lussureggianti. Nelle sue opere, la foresta è fatta di alberi e panorami tropicali insieme ad animali fantastici; una foresta ricca, viva e colorata.
In un’area dell’esposizione, troviamo una zona con un albero al centro e con attorno tutto quello che si può trovare nella foresta e nel litorale di fiumi e mari. Fa davvero stare male vedere come, a fianco di sassi, conchiglie, insetti, semi e frutti di piante di ogni specie ci siano tappi di plastica, reti da pesca, viti e bulloni, etichette di carte. Il nostro mondo occidentale ha finito per invadere quello selvaggio e naturale delle foresta dell’Amazzonia e di altre parti del mondo.
Non mancano le ispirazioni sciamaniche dell’artista brasiliana Adriana Varejão che ha trascorso del tempo tra le comunità dell’Amazzonia brasiliana per raccontare la foresta e i popoli che la abitano. Disegna tavole botaniche al confine tra il mondo scientifico e quello degli sciamani che usano il potere di alcune piante per creare stati di euforia ed ipnosi.
La mostra Siamo foresta ci fa riflettere su come i popoli occidentali abbiano portato quasi all’estinzione le popolazioni indigene a causa della distruzione dei loro habitat e territori. Ma qualcosa sta cambiando.
La voce dei popoli amazzonici e di quelli delle altre foreste oggi arriva fino a noi. Ad esempio, gli Yanomami sono un popolo indigeno di cacciatori e raccoglitori. Sono circa cinquantamila persone e occupano un territorio dell’Amazzonia, tra Venezuela e Brasile, che è circa l’1,5% del totale della foresta. Questo territorio, grande circa quanto il Portogallo, è stato riconosciuto con un decreto presidenziale nel 1992. Gli Yanomami hanno quindi potuto portare la loro voce e i loro saperi a tutto il mondo. L’artista del popolo yanomami, Ehuana Yaira, ha incontrato l’artista cinese Chi Tuo-Quiang e insieme hanno dipinto un’opera a quattro mani che racconta di una donna che cammina in un bosco coperto di fiori fino a scendere alle origini della vita.
Raccontare la bellezza della foresta, i mondi degli alberi, dei fiori, dei funghi e degli animali che la popolano, oltre alle persone, ci rende partecipi del fatto che siamo tutt’uno con la natura. Riscoprire il contatto con la natura, la sua bellezza e la meraviglia che porta nelle nostre vite è oggi più che mai fondamentale.
Questa mostra mi ha ricordato quanto sia importante la luce che colpisce un oggetto, la luce che una persona porta dai suoi occhi al mondo. L’ho capito mentre fotografavo il corridoio alberato, circondato dalle piante tropicali. La luce è cambiata e i pannelli colorati sul soffitto hanno trasformato la mia visione, da una zona naturale ad una immensamente colorata. Guardare il mondo con occhi nuovi, aperti e colorati, ci permetterà di godere al meglio della sua bellezza.
Nella Giornata Mondiale dedicata agli Oceani 2023 il tema “mettere gli oceani al centro” mi ha fatto conoscere un nuovo progetto che ha l’obiettivo di scoprire 100.000 nuove specie marine entro la fine del Decennio del Mare: si chiama Ocean Census.
Mettere l’Oceano al centro, al primo posto, perché viviamo in un Pianeta di acqua di mare. Le Nazioni Unite hanno proclamato l’8 giugno Giornata Mondiale degli Oceani. La data è stata scelta per ricordare l’Anniversario della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992.
Quest’anno il tema proposto è “Planet Ocean: tides are changing”. Nel nostro Pianeta Oceano le maree stanno cambiando. Noi esseri umani siamo più consapevoli dell’importanza del mare e degli oceani, dei suoi abitanti e delle relazioni che esistono tra gli habitat marini e costieri e gli habitat terrestri.
Mettere l’oceano al centro significa anche al centro delle agende politiche e dei territori. Un primo passo è stato fatto promuovendo la Ocean Literacy, l’Educazione all’Oceano, la base per raggiungere i numerosi obiettivi sul mare dell’Agenda 2030.
Il periodo che va dal 2021 al 2030 è stato dichiarato dalle Nazioni Unite come UN Ocean Decade, Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile. Nel celebrare gli oceani, ogni anno le Nazioni Unite vogliono ricordarci la bellezza e la ricchezza di tutti gli esseri viventi, ci ricordano che mari ed oceani ospitano ecosistemi indispensabili anche per la vita sulla terraferma.
Francesca Santoro, Senior Programme Officer per IOC/UNESCO e responsabile a livello mondiale dell’Ocean Literacy per l’Ocean Decade nel suo comunicato stampa per Press Play ha dichiarato che “qualcosa, finalmente, si sta muovendo: l’oceano sta prendendo il suo spazio al centro dell’agenda politica internazionale. È più che mai necessario ‘cambiare la marea’: nell’ambito dell’Ocean Decade puntiamo a stimolare azioni e cambiamenti urgenti per comprendere meglio, preservare e rivitalizzare questo bene comune globale”
Nel marzo di quest’anno abbiamo raggiunto un importante accordo, il Trattato Globale per la Tutela dell’Alto Mare, che permetterà di inserire il 30% dei mari all’interno di aree protette entro il 2030. In questo modo sarà possibile conoscere e proteggere la flora e la fauna marina che vive al largo delle coste.
Un altro importante accordo raggiunto e approvato da 175 Paesi al mondo permetterà di limitare e proibire i sussidi che danneggiano gli stock ittici di tutto il mondo e poter raggiungere l’importante accordo noto col nome di Plastic Treaty entro il 2024.
Governi, aziende, privati e istituzioni, ciascuno di noi deve fare la sua parte per favorire e attuare gli accordi e la tutela del mare e degli oceani. Mettere al centro la ricerca scientifica a favore del mare e degli oceani è altrettanto fondamentale, così come avere un approccio interdisciplinare.
La scienza, con l’aiuto delle leggi internazionali e dei trattati, e con il supporto del comportamento di ogni cittadino raggiunge ottimi risultati nella conoscenza e salvaguardia del mare. Per far conoscere questi risultati, la comunicazione è indispensabile ma anche la cultura in tutte le sue forme: arte, musica, design, architettura.
Il nostro Pianeta è fatto di acqua salata e di molte specie vegetali e animali che sono ancora sconosciute. Il 70% della superficie terrestre è coperta da oceani ma consociamo meglio lo spazio rispetto ai nostri fondali marini.
Gli scienziati stimano che solo il 25% dei fondali marini è stato mappato. Ecco che è davvero importante invertire la rotta, cambiare le nostre azioni, iniziando a censire e conoscere le specie che vivono nelle profondità marine per non rischiare di perderle ancora prima di averle conosciute e studiate.
Per conoscere e scoprire le specie marine e oceaniche delle quali ancora non sappiamo nulla è nato un grande progetto di studio chiamato Ocean Census. Coinvolge scienziati, ricercatori ed esploratori di tutto il mondo con l’obiettivo di scoprire almeno 100.000 nuove specie marine entro la fine del Decennio dedicato al Mare.
L’inquinamento da plastica e microplastica, il surriscaldamento delle acque di mari e oceani, insieme all’inquinamento acustico delle navi stanno causando gravi danni a tutti gli esseri viventi sottomarini, soprattutto alle specie animali.
Questo progetto è guidato dalla Nippon Foundation e dall’Istituto di Ricerca Marina britannica Nekton e coinvolge studiosi e imprenditori di tutto il mondo. Come ha detto Alex Rogers in un’intervista al sito Euronews: è una corsa contro il tempo.
Il cambiamento climatico, innalzando la temperatura di mari ed oceani, causa anche la perdita di ossigeno nelle acque, la loro acidificazione e la perdita di specie marine. Non possiamo continuare a fare questi danni ai mari e agli oceani: rischiamo una sesta estinzione di massa non solo sulla terraferma, ma anche nelle profondità marine.
Il progetto Ocean Census nasce dalla constatazione che meno del 10% delle specie marine sono state finora identificate e ci sono oltre due milioni di specie da scoprire osservando le profondità marine. Attraverso immersioni subacquee, monitoraggio e censimenti, possiamo scoprire quella meraviglia nascosta sotto i mari che ancora non conosciamo e alla quale non abbiamo dato un nome.
Ocean Census ci ricorda che la vita è nata nell’acqua e che gli oceani ospitano molte più specie rispetto agli habitat terrestri:
Lo sviluppo tecnologico è stato veloce dal 1800 in poi. Ma questa stessa velocità non si è registrata nella scoperta di nuove specie oceaniche. Ogni anno vengono identificate in media duemila nuove specie marine ma siamo ancora troppo lenti.
Nel progetto Ocean Census anche la tecnologia sarà di grande aiuto: robot, imaging ad alta risoluzione, utilizzo dell’intelligenza artificiale oltre al sequenziamento del DNA ci permetteranno di sapere quali altre meraviglie nascondono i nostri mari ed oceani
Speriamo finalmente di poter dire, in un futuro non troppo lontano, che fanno più rumore nuove specie che vengono scoperte rispetto a quelle che perdiamo ad una velocità maggiore dovuta alle azioni dell’uomo e al cambiamento climatico.
Il 19 aprile 2023 ho partecipato a Milano al primo Biodviersity Summit organizzato da 3Bee. 3Bee è una startup agri-tech che crea sistemi intelligenti per monitorare e diagnosticare la biodiversità sul territorio. Durante questa giornata di incontro e confronto, abbiamo parlato di biodiversità, ricerca, aziende e comunicazione con l’obiettivo di trovare i tre pilastri del 2023 per la biodiversità
La biodiversità è la nostra grande ricchezza e varietà a livello di flora e fauna selvatica, ma siamo anche noi esseri umani, il territorio e tutte le relazioni che si creano all’interno dell’ecosistema. Oggi viviamo una grave crisi climatica e della perdita di biodiversità ma, mentre abbiamo numerosi dati storici sulla variazione del clima nei secoli, i dati sulla perdita di biodiversità sono molto di meno e più recenti.
Nel suo intervento al 3Bee Biodiversity Summit il professor Paolo Vineis, Direttore scientifico della Regenerative Society Foundation, ha messo in evidenza come studi scientifici dimostrano che c’è un nesso tra malattie, salute umana e perdita di biodiversità. La perdita di aree selvatiche e la deforestazione ha portato numerose specie animali a muoversi dal loro habitat naturale e a spostarsi verso zone intermedie chiamate ecotono. Proprio da queste zone è più probabile che partano le pandemie, i casi casi di spillover. In queste zone si creano condizioni tali che la trasmissione di un virus può avvenire ad una velocità molto maggiore.
Una correlazione tra la dieta umana e il rischio di malattie è legata anche alla varietà della nostra dieta: maggiori specie vegetali consumiamo a tavola, minore è il rischio di ammalarci. A breve si avranno anche i risultati dei primi studi scientifici che indicano una probabile correlazione tra la perdita degli impollinatori in natura e la mortalità umana.
Tenendo conto di tutto ciò, Regenerative Society Foundation è una fondazione di aziende italiane che sta creando una valutazione completa della performance di un progetto, utilizzando un protocollo standard basato su quattro asset:
L’importanza della rigenerazione è fondamentale. Seguire uno sviluppo sostenibile, basarsi sui principi dell’economia circolare non è più sufficiente. Abbiamo consumato le risorse della Terra ad una velocità troppo alta. Abbiamo perso biodiversità e tutto questo va reintegrato. Oggi e nel futuro occorrerà rigenerare, cioè ricostituire, recuperare e rimpiazzare le risorse naturali consumate.
Ricreare e ristabilire un nuovo equilibrio tra l’uomo e tutte le altre specie viventi presenti sul Pianeta. Occorre andare oltre la sostenibilità quando si parla di un progetto e valutare anche la sua rigeneratività. Ogni persona dovrà cambiare il suo modo di utilizzare le risorse del Pianeta. Ciascuno di noi è anche un consumatore e con le nostre scelte determineremo il mondo del presente e del futuro.
Dopo la conclusione degli interventi al 3Bee Biodiversity Summit ho avuto il piacere di dialogare con la professoressa Anna Camilla Moonen dell’Università di Sant’Anna, Istituto Management e professoressa associata in Agronomia e Colture Erbacce. A lei ho posto questa domanda che mi sento fare spesso. Ecco cosa mi ha risposto.
Ogni cosa che facciamo ha impatto sulla natura e sulla biodiversità. In una città come Milano possiamo curare il nostro balcone o terrazzo con fiori e piante che favoriscono gli impollinatori. Quando parliamo di impollinatori, pensiamo tutti alle api e agli insetti ma ci sono impollinatori anche tra gli uccelli e i mammiferi.
Possiamo, ad esempio, utilizzare delle bat-box per pipistrelli, animali che stanno scomparendo dalle nostre periferie urbane. I pipistrelli sono animali utili negli ecosistemi naturali: se li ospitiamo, aiutiamo la biodiversità attraverso il controllo biologico degli insetti, senza introdurre altre sostanze inquinanti nell’ambiente.
Le cose semplici sono spesso le più belle: consiglio di seminare sul balcone la lavanda e le erbe aromatiche. Hanno un duplice utilizzo: facendo seccare i fiori di lavanda si possono creare piccoli sacchetti per profumare gli armadi e le erbe aromatiche sono utilissime in cucina. Mentre fioriscono sul balcone, queste piante sono molto utili per farfalle insetti impollinatori. Un modo semplice e alla portata di tutti per aiutare la biodiversità cittadina.
Nelle città è anche bello partecipare alla vita di giardini e orti condivisi e frequentare parchi urbani. Favorisce la socialità e aiuta a stare bene. Lavorare in un orto o giardino di quartiere crea unione e comunità.
I giardini sono anche terapeutici. Prendersi cura fa bene alla salute. Quando parliamo di prendersi cura, pensiamo subito agli esseri umani, naturalmente, o agli animali. Ma anche prendersi cura di un vegetale, di una pianta, della terra o di un corso d’acqua, di un habitat è sempre un lavoro di cura che fa bene agli esseri umani e al Pianeta.
A conclusione della mia chiacchierata con la professoressa Moonen, una frase mi ha davvero colpito.
Agire è importante ma prima di tutto, per aiutare la biodiversità, occorre osservare. Osservare il mondo attorno a noi, la natura, le piante e gli animali. La seconda cosa è avere consapevolezza.
Se osserviamo cosa c’è e cosa non c’è attorno a noi, abbiamo consapevolezza e solo allora possiamo trovare una soluzione. La soluzione viene dopo. Oggi serve avere amore per la conoscenza in ogni settore
Professoressa Anna Camilla Moonen dell’Università di Sant’Anna, Istituto Management ,Professoressa associata in Agronomia e Colture Erbacce
Grazie a questa giornata di confronto del 3Bee Biodiversity Summit. Osservare, monitorare, poi trovare soluzioni e agire. Solo così possiamo aiutare noi stessi e la biodiversità.
Questa edizione di Orticola 2023 è stata dedicata all’intelligenza di fiori e piante. Ho cercato di fissare con il mio smartphone alcune strategie evolutive che le piante hanno sviluppato nel corso dei secoli e te le racconto in questo post.
L’edizione 2023 di Orticola di Lombardia, una delle più importanti mostre mercato per il vivaismo nazionale ed internazionale, si è svolta dall’11 al 14 maggio 2023 nei Giardini Indro Montanelli di Milano. Nonostante il tempo incerto, non ho potuto fare a meno di passare una giornata tra i fiori. Quest’anno ancor di più, visto l’interessante tema dell’anno: l’intelligenza dei fiori.
L’esposizione Orticola 2023 ci ha suggerito di “osservare le piante con occhi nuovi, soffermandoci non solo sulla loro bellezza, ma anche sulla loro straordinaria capacità di adattamento” Con un invito molto in linea con la mia passione per la natura e la sua bellezza, sono andata a curiosare tra gli espositori, lasciandomi guidare dalla bellezza, dal colore e dal fantastico profumo che si respira ogni anno tra i sentieri di Orticola.
A ispirare questa edizione c’è anche un libro che non ho ancora letto, ma credo che sia davvero interessante: L’intelligenza dei fiori, un libro scritto nel 1907 da Maurice Maeterlinck, Premio Nobel per la Letteratura.
La natura sembra pacifica e ordinata, ma sono proprio le piante a mettere in atto una specie di rivoluzione lenta e silenziosa e allo stesso tempo forte e ostinata per poter sopravvivere in luoghi difficili e in condizioni ambientali estreme.
“Il mondo vegetale che a noi sembra così pacifico, dove tutto appare accettazione, silenzio, obbedienza, è al contrario il luogo dove la rivolta contro il destino è la più veemente e la più ostinata.”
Maurice Maeterlinck, L’intelligenza dei fiori, 1907
Tra le piante che appaiono più diverse dalla comune idea di pianta, fatta di radici, fusto, rami e foglie ci sono le piante carnivore e le succulente. Entrambe hanno messo in atto delle diverse strategie per poter vivere in climi estremi e sono solo un esempio delle numerose strategie che le piante hanno evoluto nel corso dei millenni.
Le piante carnivore del genere Drosera appaiono sulla guida di questa edizione di Orticola 2023. Si tratta di una famiglia di piante che ha sviluppato dei tentacoli appiccicosi, forniti di ghiandole. Utilizzando questi tentacoli le piante catturano piccoli insetti e poi li digeriscono tramite dei succhi simili ai nostri succhi gastrici. Tutto questo per apportare alla propria dieta sostanze nutritive che scarseggiano nel terreno. Tutte le piante carnivore hanno adottato questo tipo di strategia unita ad un movimento delle loro appendici che si rivolgono verso le prede per catturarle più facilmente. In natura le troviamo in Africa, Sud America e Australia, ma anche in Alaska e Nuova Zelanda. Prediligono un substrato umido e sui nostri balconi è consigliato annaffiarle con acqua piovana o demineralizzata.
Anche le piante succulente o cactacee hanno modificato notevolmente il loro aspetto per adattarsi ai climi aridi: le foglie sono diventate spine e accumulano acqua al loro interno. Perfino la loro fotosintesi è particolare: è la fotosintesi CAM. La pianta, per non perdere acqua, di giorno chiude gli stomi e li apre di notte perché la fotosintesi CAM le permette di utilizzare l’anidride carbonica che cattura di notte.
Girando tra gli espositori di Orticola 2023 ho fotografato altre piante antiche molto interessanti che ci raccontano come le evoluzioni possono essere molto diverse nel regno vegetale: sono le felci, gli equiseti e le ginkgo.
Le felci e gli equiseti fanno parte di un particolare gruppo di piante: le Pteridofite. Apparse nel periodo del Devoniano inferiore, oggi sono ancora tra noi oltre diecimila specie. Sono state le prime piante terrestri a differenziarsi con fusto, radici e foglie con un sistema vascolare di trasporto. Anche la loro riproduzione è particolare perché si diffondono tramite spore.
Le Ginkgo biloba (L.1771) sono dei veri fossili viventi. Sono l’unica specie sopravvissuta nella famiglia delle Ginkgoaceae, una famiglia comparsa sulla Terra circa 250 milioni di anni fa. Con la loro caratteristica forma delle foglie, sono piante dioiche: ci sono piante maschili e piante femminili e la loro impollinazione è affidata al vento.
Il regno vegetale mostra numerosi adattamenti che ha sviluppato durante una storia evolutiva millenaria. Guardare la natura con occhi curiosi è riconoscere la sua bellezza e varietà, ma anche le numerose strategie che si è inventata nel corso dei millenni. Perché noi esseri umani abbiamo ancora tanto da imparare: siamo gli ultimi arrivati su questo Pianeta.
Ad Orticola 2023 non sono mancate rose e peonie, orchidee e gerani, fucsie e hoya, ma quest’anno Orticola 2023 ci ha regalato un interessante viaggio nel tempo e nello spazio attraverso la bellezza e la creatività del Regno Vegetale.