Marcare accenti condivisi

STILI DI VITA

Sono le prime parole che sento appena entro nella stanza. Siamo in una cascina in ristrutturazione nel centro della città. Le pareti sono fatte di mattoncini rossi e le porte e le finestre sono solo abbozzate. Invece degli infissi c’è un telone trasparente per lasciare entrare la luce e tenere fuori gli spifferi d’aria fredda, che a inizio ottobre cominciano a infastidire. La porta non c’è,  la sostituisce un lenzuolo bianco appeso alla buona.

La stanza è grande, ma il mio sguardo invece che perdersi per aria, si posa subito sul pavimento coperto da calce grigia. Al centro della stanza delle assi di legno e sopra delle scarpe nere da donna, tutte uguali, con tacchi larghi e alti circa cinque centimetri. E sopra le scarpe, vestiti di tutti i giorni, coperti a caso da ampie gonne e qualche scialle. E lì in quei vestiti e in quelle scarpe ci sono un’insegnante, Claudia e cinque alunne pronte a marcare accenti condivisi.

Il nostro è un gruppo di danza flamenco. Iniziamo a marcare gli accenti con i piedi, percuotendo le assi di legno con le suole delle scarpe. L’insegnante scandisce il tempo e noi battiamo le mani sulle cosce sempre seguendo un ritmo preciso. Anche le braccia marcano accenti condivisi, disegnando gocce davanti al viso. Una goccia, poi un’altra e un’altra ancora. Quando abbiamo imparato a marcare gli accenti, ci muoviamo liberamente, occupiamo tutto lo spazio disponibile per poi tornare al punto di partenza. Io seguo con stupore e interesse tutti i movimenti e mi accorgo che ci sono aspetti di questa danza che non conoscevo affatto.

Arriva il momento di ascoltare un CD e provare la nostra piccola coreografia sulla musica. Appena le note vibrano nell’aria ci accorgiamo di essere al tramonto, alla periferia di un piccolo villaggio. I lampioni si stanno accendendo e l’aria è frizzante. Siamo un gruppo di gitani costretto a vivere ai margini della società, nel dolore e nella sofferenza. Perciò sappiamo bene cosa significa questa danza, cosa vuol dire condividere. Uno di noi inizia a ballare e tutti lo accompagnano e condividono la sua gioia e il suo dolore. Poi con lo sguardo lascia la parola ad un amico, come a dire: vai, ora tocca a te parlare, noi siamo qui per ascoltare e partecipare.

Ecco il mio momento, inizio ad accennare il mio canto e a ballare e il mio sguardo seducente e puro allo stesso tempo ha già invitato un uomo, un po’ nascosto, in disparte, anche lui con un viso ingenuo e attraente. E a lui passo parola e lo accompagno nelle danze. Nell’aria risuonano accenti condivisi, fatti di battiti di mani e di colpi di tacco sull’asfalto malmesso della strada polverosa. Per condividere un’origine comune e una sofferenza comune.

Poi il silenzio mi catapulta nella realtà della stanza. L’insegnante ha spento il CD e la nostra lezione di prova è terminata. Troppo presto, come sempre, il tempo a disposizione è trascorso troppo velocemente.

Nella testa mi risuona il ritmo che abbiamo provato e riprovato continuamente. Cerco di fermarlo con le lettere sulla carta e quello che esce è un i e un pam, intervallato da tre punti per le pause lunghe e da uno solo per quelle brevi. Non so se riuscirete a ritrovare in queste lettere la magia della danza e del suono, ma possiamo provare a condividere:

i…pam   i…pam  i.pam i.pam i.pam

i…pam   i…pam  i.pam i.pam i.pam

i…pam   i…pam  i.pam i.pam i.pam

Sabrina Lorenzoni

Sabrina Lorenzoni

Biologa ambientale

Blogger e green content writer, mi occupo di comunicazione digitale e divulgazione scientifica nei settori ambiente e biosostenibilità.

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