Si è da poco conclusa la venticinquesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino con il suo tema portante “primavera digitale”. Io, quest’anno, c’ero. Sono arrivata al Lingotto venerdì mattina, in una Torino accecante di luce, di sole, di ombre e riflessi. Mi sono soffermata nel piazzale d’ingresso e davanti agli orologi che segnano il fuso orario delle principali città del mondo. Ho respirato a lungo e mi sono avviata verso il punto info a ritirare il catalogo e la piantina e poi sono entrata, varcando le porte a vetri, perché è solo in quel momento che sei dentro al mondo Salone. Ho cominciato a muovere alcuni passi tra gli stand, giusto per non intralciare il traffico degli arrivi e poi mi sono fermata. Ecco sono stata colpita dal primo e più invasivo degli effetti del Salone.
Davanti a un’opera d’arte o a un quadro famoso, all’interno di un edificio o di una cattedrale, ci può colpire la sindrome di Stendhal, coi suoi capogiri, vertigini e senso di confusione. I sintomi erano gli stessi, ma io sono stata colpita dalla “sindrome delle lettere fuggenti”. Non so se sia capitato ad altri che hanno visitato il Salone, ma lì, davanti a quel pannello con le lettere dell’alfabeto e quell’immensità di scritti, ho visto le lettere volar via, abbandonarmi, lasciarmi bianca, come la pagina dello scrittore nei suoi giorni di crisi più nera.
I libri erano talmente tanti che mi chiedevo come fosse stato possibile con solo 21 lettere dell’alfabeto italiano e qualcuna in più per quelli stranieri, mettere assieme classici, saggi, novelle, romanzi, libri per bambini, ragazzi, adulti, diversamente abili, italiani e stranieri.
Erano troppi. Un’immensità e di più non era possibile. Per questo ora le lettere se ne stavano andando, prendevano il volo, una ad una, senza lasciarmi la possibilità di afferrarne qualcuna, una “a”, una “o”, una “r” o una “s”. Non avrei mai più potuto esprimere i concetti base, come fame o sete o sonno, figuriamoci poi per dire vita, felicità, amore, speranza, tutto mi sarebbe stato precluso. E gli effetti si accumulavano. Ero smarrita, confusa, preoccupata, frastornata.
Pian piano però sono tornata a respirare, a guardarmi attorno con calma, ho ricominciato a camminare tra gli stand e a godermi il Salone. Girando a caso, lasciandomi trasportare, perdendomi tra quello che più mi colpiva e attirava. I colori di uno stand, le copertine dei libri, il vociare della gente, i suoni degli strumenti musicali, la musica, le postazioni e le interviste e via così per tutta la giornata, tra incontri con amiche e amici, voluti o casuali, e con personalità dello spettacolo e della scrittura.
Però ora che sto scrivendo questo post torna in me la preoccupazione e l’effetto delle “lettere fuggenti”. Perché avrei voluto dire molto, di più, tanto ancora sul Salone, ma non mi riesce. Forse non sono ancora del tutto guarita da questa strana sindrome, magari non ne uscirò più o forse bisognerà solo aspettare un po’ di tempo, perché il bianco accecante della pagina non piombi nel nero della disperazione dello scrivente senza inventiva, ma dia spazio a tutte le combinazioni cromatiche possibili. E allora aspettiamo i prossimi post, per saperne di più, sul Salone e i suoi effetti.
Per me è sempre difficile riuscire a riportare in parole scritte che non sembrino banali, ridondanti, abusate, un’impressione, un pensiero. Figuriamoci un’emozione.
Senza essere sotto l’effetto di alcuna sindrome 🙂
Con solidarietà
Ciao grazie per la solidarietà. Un posto con così tanti libri ti disorienta, specie se, come me, sei un’appassionata di libri che cerca di scrivere nel miglior modo possibile, con un proprio stile. Ma, se la sindrome del foglio bianco è passata ai Grandi, passerà anche a me. A presto