Tutto è successo come in una piccola fiaba. Mi sono lasciata trasportare dal caso, da un orologio e da una mappa della città. Ho deciso di fare un giro al Castello Sforzesco in occasione dell’evento Bookcity. Subito, come per magia, sono stata accolta da una coppia sui trampoli e da una banda di strani musicisti. Poi ho trovato lettere sparse nel giardino del castello e infine, la mappa. Al momento non me ne sono curata troppo e ho proseguito a zonzo per i vari cortili, finché sono capitata all’ingresso di una mostra che ha catturato gran parte del mio tempo. Anche qui, in tema c’era una volta, una mostra di illustrazioni dell’editore Salani che merita un post a parte.
Una volta terminata la visita, ho aperto la mappa e guardato l’orologio. E così, come per uno strano gioco del destino, ho letto di una conferenza che faceva proprio al mio caso e mi sono mossa verso il Museo del Novecento, nella sala all’ultimo piano, con vetrate vista piazza Duomo, la cattedrale di fronte e l’immensità della piazza ai piedi. Il titolo della conferenza, mi chiederete voi? Eccolo qua: “Le donne di Andersen, tra vita e fiaba” e accanto un nome a me sconosciuto, Anthony Majanlahti.
Sarà uno scrittore arabo di fiabe, dico tra me e me, un illustratore, un esperto conoscitore di vita, morte e miracoli di Andersen. Invece, niente di tutto ciò. Anthony è un discendente dello scrittore, del ramo della sorella e come discendente ha ereditato molti scritti e soprattutto diari del grande e famoso autore di fiabe. Raccontare tutta la conferenza è impossibile, così come rendere l’atmosfera incantata, quasi fiabesca, che si è creata mentre l’attrice Giuliana Lojoodice recitava con estrema maestria brani tratti dalle fiabe, sotto le strane luci di tubi al neon della sala sulla vetta della città.
Cercherò di restare su ciò che mi ha più colpito, cioè il tema: le donne e la vita di Andersen. Andersen si ricorda soprattutto come romanziere, viaggiatore e narratore. Nonostante la fama e il successo, cosa rara per gli artisti, quasi sempre morti squattrinati, la sua vita fu malinconica, piena di tristezza e solitudine. Un po’ per il suo fragile corpo e i modi gentili, quasi fin troppo, per i quali veniva sovente preso in giro. Un po’ per il carattere. Si innamorò più volte perdutamente di ragazze e donne che poi sposarono altri uomini o rifiutarono una sua proposta di matrimonio. Scrittore nomade, viaggiò molto, anche in Italia, e soggiornò in particolare a Roma e Napoli. Non divenne subito celebre coi primi romanzi, né con la prima raccolta di fiabe, ma solo quando iniziò a pubblicarne sempre di nuove edizioni che uscivano nel periodo natalizio.
A differenza dei fratelli Grimm, che raccolsero per iscritto storie tramandate a voce dal popolo, Andersen inventò le sue fiabe, ricche di natura, del tema del viaggio e del diverso. Perciò l’ho subito apprezzato, perché non ti dice “e vissero tutti felici e contenti”, ma ti parla di una realtà difficile, di un mondo crudele e violento, minaccioso e inspiegabile. Secondo lui, il lieto fine consisteva nella morte e nell’ascesa al cielo, unica possibilità di una vita pacifica e felice.
Il suo rapporto con le donne torna in alcune fiabe.
- La bambina dei fiammiferi, la sua povertà e il tema della fede
- Le scarpette rosse, la protagonista ha lo stesso nome della sorella, Karen
- Il tenace soldatino di stagno, i due amanti saranno insieme per sempre solo dopo la morte
- Mignolina, piccola e deforme, una delle poche fiabe a lieto fine, dove spicca il tema del viaggio
- La sirenetta, amore come romanticismo e sacrificio, come sofferenza per amori non ricambiati
- L’usignolo, dove elogia il potere della musica
Le donne di Andersen sono a volte sicure di sé e decise, ma per lo più sono creature travolte dalle circostanze, soggette al sacrificio. Il suo rapporto con le donne, quello vissuto nella realtà, condizionò il suo modo di scrivere, tanto che possiamo riconoscere nelle fiabe episodi della sua vita. Quando chiesero ad Andersen quale fiaba potesse rappresentare la sua autobiografia, lui rispose soltanto: “il brutto anatroccolo” E forse questa fiaba rappresenta un po’ anche tutte le donne, che, spesso o solo talvolta, si sono sentite, si sentono e si sentiranno inadeguate.
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