Il rewilding o rinaturalizzazione è un processo di ripristino di un ecosistema naturale danneggiato dall’attività umana. Questa parola racchiude un processo scientifico e strategico capace di ridare vita ad ecosistemi compromessi dall’attività umana.
Il termine rewilding, che possiamo tradurre in italiano con rinaturalizzazione, indica una pratica di restauro ecologico attivo che mira a restituire agli ambienti naturali la loro autonomia e funzionalità originaria. Se ne è parlato agli inizi degli Anni Ottanta nel Nord America e, in pratica, si tratta di permettere alla natura di riprendersi i propri spazi, favorendo la rigenerazione spontanea e il ritorno di specie animali e vegetali fondamentali per l’equilibrio dell’ecosistema.
Il rewilding si basa su alcuni punti fondamentali:
- la reintroduzione di specie scomparse,
- la gestione più naturale dei pascoli,
- la riduzione dell’impatto umano,
- Il sequestro di carbonio da parte della vegetazione,
- Il controllo degli incendi.
Questi interventi mirano a ristabilire le dinamiche ecologiche originarie, spesso alterate o del tutto annientate da decenni di pratiche che hanno danneggiato gli ecosistemi, in modo particolare:
- l’agricoltura intensiva,
- l’urbanizzazione selvaggia,
- lo sfruttamento delle risorse naturali.
La reintroduzione di erbivori e predatori all’apice della catena alimentare è una strategia chiave: questi animali, attraverso il loro comportamento e le interazioni con l’ambiente, aiutano a regolare le popolazioni di altre specie e a modellare il paesaggio, favorendo la biodiversità.
Tra gli animali spesso protagonisti dei progetti di rewilding troviamo: gli orsi bruni, i bisonti europei, le linci, gli elefanti asiatici e gli avvoltoi. La loro presenza stimola l’equilibrio ecologico e aiuta a rigenerare gli habitat. Per esempio, i grandi erbivori come i bisonti contribuiscono a mantenere i paesaggi aperti, impedendo che vengano occupati da specie invasive o da una vegetazione troppo fitta. I predatori come le linci aiutano a mantenere sotto controllo le popolazioni di prede, evitando squilibri nella catena alimentare.

Il rewilding è un processo di ripristino di un ecosistema naturale danneggiato dall’attività umana mediante restauro ecologico attivo (foto realizzata con ©Canva)
20 marzo, Giornata Mondiale del Rewilding
Il 20 marzo del 2021 è stata celebrata per la prima volta la Giornata Mondiale del Rewilding o World Rewilding Day. È stata organizzata e promossa dalla Global Rewilding Alliance (GRA) e in seguito supportata da Rewilding Europe per aumentare la consapevolezza che occorre ripristinare la natura in tutte le aree del mondo nelle quali è stata danneggiata dalle attività umane.
Dal 2021 numerose organizzazioni partecipano e contribuiscono a favorire, promuovere e raccontare progetti di rewilding. Questa giornata ha evidenziato anche come la protezione della natura sia collegata alla mitigazione del cambiamento climatico. Natura e clima sono interconnessi, come ci ricordano gli obiettivi 14 e 15 dello sviluppo sostenibile.
L’istituzione di una giornata mondiale ha contribuito a mettere in evidenza il fatto che per un corretto rewilding è necessario un approccio olistico alla gestione del territorio, che include anche benefici per le comunità locali. Un ambiente più sano può offrire nuove opportunità economiche legate al turismo sostenibile, all’educazione ambientale e alla valorizzazione delle risorse naturali. Perciò il rewilnding rientra tra le nature-based solutions (NbS), perché lascia alla natura la possibilità di autoregolarsi aiutata, quando necessario, dall’intervento umano.
Per garantire il successo dei progetti di rewilding è dunque essenziale una pianificazione accurata, supportata dalla scienza e dalla politica, ma anche un coinvolgimento attivo delle persone che vivono nei territori interessati. L’accettazione sociale è spesso uno degli ostacoli più difficili da superare e uno dei più importanti da affrontare per garantire che la rinaturalizzazione sia durevole e condivisa.
Alcuni esempi di successo a livello mondiale
Nel mondo esistono numerosi esempi che dimostrano come il rewilding possa avere effetti profondi e duraturi sugli ecosistemi e sulle comunità locali. Questi progetti, se ben pianificati e gestiti, sono in grado di:
- invertire il degrado ambientale,
- favorire il ritorno della fauna selvatica,
- stimolare l’economia sostenibile dei territori coinvolti.
Uno dei casi più emblematici è quello della Greater Côa Valley in Portogallo. In questa regione, colpita in passato dall’abbandono agricolo e da incendi ricorrenti, sono stati reintrodotti cavalli selvatici e grandi erbivori. Questi animali hanno contribuito a modellare il paesaggio in modo naturale, favorendo la crescita di specie vegetali autoctone e aumentando la biodiversità complessiva. Il cambiamento ha attirato anche numerosi turisti generando nuove opportunità economiche per la popolazione locale.
Un altro esempio di successo si trova in Italia, nel Parco Naturale Adamello Brenta. Qui, tra il 1999 e il 2002, sono stati reintrodotti dieci orsi bruni. Oggi, a distanza di oltre vent’anni, il numero di esemplari ha raggiunto quota 98 nel 2023. Questo progetto dimostra come, con il giusto supporto scientifico e un’attenta gestione, sia possibile recuperare popolazioni animali praticamente estinte a livello locale.
In Spagna, la lince iberica è passata da meno di 100 esemplari nel 2002 a circa 800 individui nel 2024, grazie a un ambizioso programma di conservazione e rewilding che ha coinvolto istituzioni e comunità locali. La lince, uno dei felini più rari al mondo, è tornata a essere una presenza stabile in vari habitat della penisola iberica.
In Europa orientale, il bisonte europeo è stato reintrodotto in diverse aree boschive. Attualmente si contano oltre 2.000 individui: un traguardo eccezionale che ha avuto un impatto positivo sul funzionamento dell’ecosistema forestale, grazie al ruolo degli erbivori nella dispersione dei semi e nella creazione di radure naturali.
Oltre al continente europeo, il rewilding ha avuto effetti importanti anche in Asia e Africa. In India e Nepal, per esempio, i programmi di rinaturalizzazione hanno favorito il ritorno dell’elefante asiatico, grazie al ripristino di habitat più sani e continui, capaci di sostenere le esigenze di questi grandi mammiferi.
In Africa e in alcune regioni dell’Asia, gli avvoltoi sono stati reintrodotti per ristabilire il loro ruolo cruciale di “spazzini naturali”. Questi uccelli, infatti, non solo aiutano a eliminare carcasse e rifiuti organici, ma contribuiscono anche a ridurre la diffusione di malattie, rappresentando un importante servizio ecosistemico.
Ma non tutti i progetti di rewilding hanno avuto successo. Ad esempio, in Scozia, nel Parco Nazionale dei Cairngorms, alcune linci euroasiatiche sono state reintrodotte senza un piano preciso e senza coinvolgere adeguatamente le comunità locali.
Questo approccio ha generato opposizioni e conflitti, portando al fallimento dell’iniziativa. Il caso scozzese mette in evidenza quanto sia fondamentale la comunicazione, la trasparenza e la cooperazione tra scienza, politica e cittadini.
La pratica del rewilding oggi rappresenta una delle strategie più promettenti per contrastare la perdita di biodiversità, aumentare la resilienza degli ecosistemi e restituire al pianeta una parte della sua ricchezza originaria. È una pratica che richiede visione, coraggio e partecipazione, ma che può generare benefici duraturi per l’ambiente e per le future generazioni.
Perché restituire spazio alla natura non è solo un gesto ecologico: è un atto di giustizia verso noi stessi e il nostro pianeta.
[ I dati e gli esempi citati in questo articolo sono tratti da post e articoli di Materia Rinnovabile ed @eco_ita]
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