È tutta colpa della mia nonna siciliana. Ha iniziato lei a darmi cucchiaini di caffè di nascosto dai miei genitori quando avevo tre, quattro anni. Poi è passata alla mezza tazzina e alla tazzina. Lei lo sapeva fare il caffè. Quello vero, forte, aromatico, intenso. Alle volte capitava che amici si offrissero di prepararlo: un liquido quasi incolore, inconsistente e con un gusto di caffè appena percettibile. Quello che mia nonna definiva, tradotto dal suo dialetto siciliano: “brodo di polpo”. Come l’acqua che rimane nella pentola quando hai fatto bollire il temibile mollusco. Anche cuocere il polpo è un’ arte al pari del fare il caffè.
Grazie alla nonna, oggi dipendo dalla caffeina. Non passa giorno che non beva minimo tre caffè. Deve essere quello vero. Invitatemi pure a prendere un caffè, sono sempre disponibile, da mattina a sera. Non datemi il “brodo di polpo” però 😉
Così quando ho visto il cartello della mostra Lavazza sul caffè mi sono detta: perché no, vai a curiosare!
Si entra in una sala tonda, un anfiteatro con comodi cuscini e parte un filmato multimediale. Ci sono cubetti di zucchero che si frantumano in mille pezzi e un mare di caffè solcato da navi tazzine. Ci sono donne sparate come razzi che atterrano nelle tazzine in pose simili a quelle che si vedono nei moderni spettacoli burlesque. Un bel filmato, ricco di suoni spaziali e quasi extraterrestri, tonfi, botti, spruzzi, frizzi.
Dopo cinque minuti di filmato, si scende a visitare la mostra che raccoglie le fotografie delle campagne pubblicitarie Lavazza degli ultimi venti anni. Me ne ricordo solo qualcuna, a dire il vero.
La parte più bella, secondo me, è la storia della ragazza testimonial, Valerie, raccontata con le parole di Vincenzo Cerami e illustrata da Milo Manara.
“Valerie si perde in una sorta di esistenza delirante, spinta dalle bizzarrie del vento. Vispa, intelligente, spudorata e verginale. Ha la bocca piena di fiori. È un’idealista e ama il futuro” (V. Cerami)
Questa è Valerie: una di noi. Ci rappresenta.
Tutte noi siamo un po’ Valerie,
trascinate dai venti della vita, un pò bambine
un po’ amazzoni come nelle rappresentazioni
audaci del maestro Manara.
Quella di Valerie è una storia piena di sogni che si intrecciano con la realtà, in un continuo partire ed arrivare. Alla fine non sa più nemmeno lei cosa è vero e cosa non lo è e si ritrova catapultata da un paracadute nella sua stessa stanza.
E tutte queste immagini di caffè in grani e in chicchi, di tazzine e cucchiaini, fanno venire voglia di bere un buon caffè. Credo proprio che mi fermerò a berlo qui, nel nuovo bar della Triennale.
Uscendo, mi cade lo sguardo sul primo pannello della mostra. All’inizio lo avevo appena notato. Ora mi sembra più interessante di prima, anche se non dice clamorose novità: il sesso del caffè, il sesso delle parole.
“Le parole hanno un sesso e il caffè, liquido maschile tentatore per eccellenza è l’abile seduttore scuro e denso che incanta” (Fabio Novembre)
E torno fuori a cercare, nel mio piccolo, di sedurre il mondo.
Ho iniziato oggi a leggere il tuo blog, e mi piace tantissimo. E poi, se mi parli di caffé, sfondi una porta aperta… Il reportage è bello e la mostra, direi, bellissima. Quando torno a Milano non mi scappa…
Complimenti!!!
Buongiorno, benvenuta e grazie! Il blog è nato da poco e i commenti lo aiuteranno a crescere. Se poi sono così belli, fanno ancor più piacere. Per la mostra, ci sono ancora pochi giorni, purtroppo. Per il caffè, c’è sempre tempo 🙂 Spero continuerai a seguirmi nel mio viaggio e a lasciare pensieri. Ti aspetto. A presto.