Perché diciamo: “Andare in oca” ?

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Da cosa potrebbe derivare il modo di dire: ”Andare in oca”? Breve storia di oche famose, da quelle del Campidoglio, alle oche degli studi di Konrad Lorenz, fino alla protesta contro la produzione del fegato grasso.

andare in oca

Perché diciamo: “Andare in oca”?

Mi ero dimenticata di questo modo di dire. Recentemente l’ho sentito e così mi sono messa a cercare qualche notizia. “Andare in oca” significa essere distratto, dimenticarsi di qualcosa, andare in confusione. Cercando tra i sinonimi di questo detto, troviamo un discreto elenco:

“confondersi, andar via con la testa, bloccarsi, imbambolarsi, andare in confusione, non capire più”

Da cosa deriva? Sembra che le oche siano animali distratti. Da questo deriva il modo di dire “andare in oca”: le oche sono considerate stupide, goffe e inutilmente rumorose.

Le donne ne sanno qualcosa perché spesso si fa riferimento ad una donna un po’ sciocchina, chiamandola “oca”, “oca giuliva” o “bell’oca”. Quindi “andare in oca” significa perdersi con la mente, vagare col pensiero, essere da tutt’altra parte con la testa.

Oca rumorosa

Oca rumorosa

Il riscatto delle oche: il salvataggio del Campidoglio. Ma le oche non sono così, si sa. E alcuni esempi lo dimostrano, a partire dall’antichità. Che sia vera o sia una leggenda, la storia delle oche del Campidoglio le riscatta parzialmente dalla brutta fama di animali stupidi e insulsi.

Era l’anno 390 a.C. Il popolo dei Galli, comandati dal terribile Brenno, assediava la città di Roma e voleva raggiungere il famoso colle del Campidoglio. Là si erano rifugiati i Romani che resistevano all’avanzata degli assalitori. Un gruppo di Galli aveva trovato una via per tentare l’assalto al Campidoglio. Ma non aveva fatto i conti con le oche.

Infatti sul colle erano rimaste un gruppo di oche, sopravvissute alla fame dei Romani perché sacre alla dea Giunone e loro, sentendo il pericolo, si misero a far rumore, avvertendo così il Console e i Romani che riuscirono a far fronte all’assedio. Non solo i Romani respinsero i Galli che avevano tentato di espugnare il Colle del Campidoglio, ma da quel momento iniziarono a ribaltare la loro sorte, vincendo alcune battaglie.

Le oche di Lorenz e l’imprinting. Ma le oche più famose, quelle che non sono affatto stupide, sono le oche di Konrad Lorenz. Le avrete viste senz’altro in qualche foto, in fila, mentre seguono lo studioso per i campi, sui prati e anche in casa. Lorenz studiava il comportamento animale, in particolare quello delle oche.

Egli fece questo esperimento: prese una covata di uova deposte da un’oca selvatica (Anser anser) e divise le uova in due gruppi a caso. Un primo gruppo lo lasciò con mamma oca, mentre il secondo lo mise in un’incubatrice. Alla schiusa, le piccole oche del primo gruppo videro mamma oca, la riconobbero come “mamma” e la seguirono.

Konrad Lorentz e le oche

Lo studioso Konrad Lorenz seguito dalle sue oche

Per il secondo gruppo di uova, Lorenz decise di essere la prima persona che le oche appena nate avrebbero visto. Così, quando nacquero le ochette, videro Konrad, lo riconobbero come “mamma” e lo seguirono.

A seguito di molti altri esperimenti simili, Lorenz dimostrò che le ochette seguono la prima cosa o animale o persona che vedono appena nate.

Lo studioso aveva dato la possibilità al suo gruppo di ochette di seguire la vera mamma oca, ma loro continuarono a seguire la figura umana perché era la prima che avevano visto alla nascita e quindi, senza dubbio, era quella la loro “mamma”.

Gli esperimenti di Konrad Lorenz dimostrarono che le esperienze acquisite dalle oche nei primi momenti di vita sono importantissime e non vengono mai dimenticate. Questo fenomeno venne chiamato da Lorenz col nome di imprinting ed è comune a molti uccelli con prole che abbandona il nido poco dopo la schiusa.

Parlando di oche nei tempi moderni, lo scorso 26 novembre è stata la Giornata Mondiale contro il Foie Gras. Il fegato grasso di anatre e oche si ottiene forzando (spesso anche con tubi o imbuti) l’animale a mangiare un quantitativo esagerato di cibo solo per rendere il loro fegato più grasso e più buono per gli esseri umani che se ne cibano. Credo che sia una tortura davvero inutile e alcuni stati come il Canada hanno già vietato questa pratica come crimine contro gli animali.

Per concludere con le oche, prestiamo attenzione a quando diciamo oca a una fanciulla un poco distratta e non preoccupiamoci troppo: capita a tutti, alle volte, di “andare in oca” 🙂

*Nota* – curiosa di natura sarà anche “andata in oca” delle volte, ma ha mantenuto una buona andatura e questo è il post del blog numero 250! 🙂

Sabrina Lorenzoni

Sabrina Lorenzoni

Biologa ambientale

Blogger e green content writer, mi occupo di comunicazione digitale e divulgazione scientifica nei settori ambiente e biosostenibilità.

2 Commenti

  1. Alessandro Mazzi

    Tutto molto interessante, grazie.

  2. Mirella

    Questo modo di dire non lo conoscevo proprio! Ma mi è sempre piaciuta la storia dell’ochetta Martina e di Lorenz mamma surrogata. L’anello di re Salomone è uno dei libri che ogni tanto mi piace rileggere…

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