Uno dei post del blog più letti in assoluto parla di come trasformare la cacca di elefante in carta. Restando in tema, ho scoperto di recente un esempio italiano di economia circolare del rifiuto per eccellenza: il Museo della Merda.
Non ci crederete ma questo post del 2013 è uno dei più letti in assoluto del blog. Racconta di come nello Sri Lanka hanno pensato di trasformare la cacca di elefante in carta. Un esempio di economia circolare, fatta in modo artigianale, che parte dal rifiuto per eccellenza.
Nel mio giro a Myplant & Garden ho scoperto un esempio tutto italiano: il Museo della Merda. Siamo a Castelbosco, una località nei pressi di Piacenza, precisamente a Gragnano Trebbiense. Gianantonio Locatelli ha un’azienda agricola con 3.500 bovini di razza selezionata che producono latte. Questo latte viene utilizzato per creare un noto formaggio della zona. Oltre a produrre 500 quintali di latte al giorno, questi animali producono, nell’arco di una giornata, anche 1.500 quintali di letame. Si pone il dilemma di come smaltirlo e del fatto che costituisce un problema di inquinamento ambientale. Alcuni studi attribuiscono ai bovini il 74% delle emissioni di gas serra.
Il primo passo: il biogas. L’azienda decide, come prima cosa, di dotarsi di un impianto che, partendo dal letame di bovino, produce elettricità. Oggi producono 3 megawatt di energia elettrica all’ora. Con questa energia riscaldano l’azienda e gli uffici. Un ottimo esempio di economia circolare. Ma resta ancora della cacca. Cosa fare?
Il marchio Merdacotta®. Parte del letame ancora disponibile viene purificato e venduto come concime. La maggior parte del letame che esce dall’impianto di biogas viene portato ad un’azienda vicina che lavora la terracotta. Unendo il letame all’argilla, si ottiene un prodotto interessante, la Merdacotta®. Lavorando questo materiale si possono creare bellissimi vasi da fiori, mattonelle, ciotole, tazze e piatti. Un giardino all’insegna del riciclo. Li ho visti in fiera e sono davvero belli. Sono lisci e ruvidi allo stesso tempo, danno l’idea di un prodotto artigianale e naturale.
Se “dal letame nascono i fior”, come dice De Andrè nella sua canzone, quale idea migliore se non quella di utilizzare il letame stesso nell’impasto di questi vasi di terracotta.
Un vaso di letame nel quale seminare una nuova pianta. Un esempio di economia circolare, un’idea vincente alla quale ho fatto subito i miei complimenti. La ditta, infatti, ha ricevuto numerosi premi a livello nazionale e internazionale.
Il Museo della Merda. La natura e le sue risorse, la natura e le sue potenzialità all’interno di un’economia verde e sostenibile. Il museo nasce per raccontare il fenomeno della luce. È la luce a fornire alle piante l’energia che serve loro per crescere, la luce è presente nel fenomeno della bioluminescenza anche in quei batteri che trasformano il letame. La luce che racconta sé stessa anche attraverso la storia dalla lampadina ad incandescenza fino ai moderni LED.
Lo scarabeo, simbolo del Museo. Lo scarabeo, un coleottero, è stato scelto come simbolo del Museo. Delle 35.000 specie al mondo, più di 7.000 sono animali coprofagi, cioè si nutrono di sostanze di rifiuto, di letame e sterco. Già gli antichi Egizi consideravano questo animale una divinità, forse perché conoscevano il suo ruolo in natura, la capacità di usare una sostanza morta come lo sterco per produrre qualcosa di nuovo.
Un animale molto utile all’ecologia degli ecosistemi. Gli scarabei “roller” trasportano lo sterco sotto forma di una palla di cacca che rotola. Si nutrono dello sterco stesso e lo utilizzano anche per costruire i nidi nei quali depongono le uova. Ripulendo il terreno dal letame, evitano il formarsi di agenti parassitari, un ruolo importante nella rete ecologica.
Un museo da visitare, il Museo della Merda, un marchio, Merdacotta®, che sarà difficile dimenticare, un esempio di economia circolare che parte proprio dal rifiuto per eccellenza: il letame, la cacca o merda che dir si voglia.
O
MIO
DIO
lo voglio visitare: ma che posto incredibile è?
Ciao, ho visto il loro stand a My Plant and Garden ma non sono riuscita a visitare il museo: dev’essere interessante!