La notte dei falò

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Il fuoco, prima grande scoperta dell’umanità. Il fuoco, elemento che incarna in sé calore, forza, potere di distruzione e rigenerazione. Il fuoco, che nella notte dei falò risplende e si libera nell’oscurità del cielo.

Non passava 17 gennaio senza che mio nonno mi raccontasse di questa tradizione dei fuochi di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici. Ero piccola, in un appartamento di città e ascoltavo il suo racconto.

La notte dei falò per Sant’Antonio Abate protettore degli animali domestici

E subito era tutto chiaro, vivo, lì davanti ai miei occhi. La corte con l’aia al centro e tutt’attorno le stalle con gli animali. E quella notte in cui ognuno portava qualcosa da bruciare: una vecchia cassa, un vecchio mobile, un oggetto in legno che non serviva più. Si accendeva il fuoco e si aspettava che fosse abbastanza forte, vivo, rosso, che le fiamme ardessero verso il cielo, libere, incontrollate. In quel momento ognuno passava davanti e gettava il proprio oggetto affinché bruciasse completamente per dare più vigore al falò, per formare nuova cenere e alimentare nuova speranza.

Le coppie danzavano attorno alle fiamme, libere e disinvolte, i fidanzati si scambiavano fuggevoli occhiate protetti dal riflesso delle fiamme, i bambini si avvicinavano troppo al fuoco tanto da costringere i genitori ad andare a riprenderli e a sgridarli.

Intanto le fiamme bruciavano, ardevano, vive e tutti gli oggetti di legno si consumavano, né troppo alla svelta, né troppo lentamente, seguendo un ritmo dettato solamente dal fuoco. Tutt’attorno, voci di canti, roteare di balli e l’inconfondibile odore del vino messo a scaldare. E un grande senso di amicizia, di fratellanza e di condivisione.

Perché la tradizione diceva che così si proteggevano tutti gli animali domestici, soprattutto cavalli e asini, mucche e tori, galline e conigli, e altri ancora, perché senza di loro l’economia della corte non si reggeva in piedi, perché erano loro ad assicurare sostentamento a tutte le famiglie che la abitavano.

E dalla cenere che rimane, dopo che le grandi fiamme si saranno spente e avranno esaurito tutto il loro potere, rinascerà nuova vita. Per auspicare un buon raccolto, per avere animali sani da cui ricavare nutrimento, perché la vita si perpetrasse ancora, appena la primavera fosse arrivata, timida e leggiadra a scacciar via il generale inverno.

Questi racconti mi hanno sempre affascinato e in seguito, negli anni del liceo, nella periferia milanese, mi è capitato di partecipare a questi falò, buttando via cassette di legno, vecchi armadietti e una cuccia per gatti ormai ammuffita. Assistevo con grande rispetto, stavo un po’ in disparte, come se io, abitante della città, non potessi capire fino in fondo tutto quel mondo contadino, con le sue storie e le sue tradizioni più intime.

E stasera il rito si ripeterà ancora: da lontano vedo piccole fiamme farsi largo tra le luci elettriche. E se prima il falò era uno, immenso, imponente, splendente ora capita di vedere piccoli fuochi, sparsi, quasi invisibili. E io penso che il grande fuoco si sia solo frammentato e che tocca a noi mettere insieme idealmente tutti i piccoli focherelli per ricostruirlo nella sua vastità.

Sicuramente è solo una delle tante tradizioni che legano l’uomo alla natura, agli animali, alla vita selvaggia, al potere dell’immaginazione e dell’inconscio e mi piacerebbe riproporvene altre, lungo il cammino del blog.

Se anche voi conoscete questa tradizione o ne conoscente delle varianti, affidatele alle pagine di questo blog: qui saranno protette, al caldo e al sicuro. Buon falò a tutti!

Sabrina Lorenzoni

Sabrina Lorenzoni

Biologa ambientale

Blogger e green content writer, mi occupo di comunicazione digitale e divulgazione scientifica nei settori ambiente e biosostenibilità.

1 commento

  1. Mirella

    Grazie di aver condiviso questa tradizione. Io, pur essendo nata in una realtà “contadina”, non la conoscevo. E’ una tradizione bellissima ed è un peccato che si sta perdendo…

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